Le edizioni Didot e Bodoni dell’opera di Racine alla Biblioteca Palatina

Le edizioni Didot e Bodoni dell’opera di Racine alla Biblioteca Palatina della Reggia di Caserta

a cura del prof. Giuseppe de Nitto


La celebre edizione uscita dai torchi di Pierre Didot l’aîné nel 1801 è più comunemente nota come “le Racine du Louvre”, nome che deriva da quello del palazzo del Louvre dove era allocata la stamperia del Didot in quegli anni.

La famiglia Didot vantava una lunga tradizione nell’arte tipografica. Il capostipite, François (1689 – 1757), si era messo in luce non solo per la precisione dei prodotti tipografici e la bellezza delle illustrazioni, ma anche per la correttezza dei testi. Per la revisione delle bozze, infatti, si avvaleva di giovani e valenti studiosi; tra i quali va ricordato l’abate di Bernij, divenuto poi cardinale, che fu anche bibliotecario del re di Napoli.

François ebbe due figli: Fr. Ambroise (1730 – 1804) e Pierre François (1731 – 1795). Dal primo nacquero: Pierre (1761 – 1853), detto l’aîné e Firmin (1764 – 1836), i quali si specializzarono rispettivamente nella composizione tipografica e nella incisione e fusione dei caratteri. Dalla loro collaborazione, che durò fino al 1809, sortirono le produzioni più pregiate dell’arte tipografica francese, tra cui questa che prendiamo ora in esame e che fa parte della serie dei classici latini e francesi, realizzata per l’educazione del Delfino di Francia.

Nel 1797, dopo aver ricevuto la medaglia d’oro all’esposizione di Parigi, Pierre Didot ottenne alcuni locali nel Palazzo del Louvre, dove sistemare la tipografia. Qui egli rimase fino al 1805, trasferendosi poi in rue Pont de Lodi. Dalla sede del Louvre uscirono, quindi, il Virgilio (1798), in 2 voll.; l’Horace (1799), in 1 vol.; il Racine (1801-05), in 3 voll.; il La Fontaine (1802), in 2 voll. Tutte le edizioni erano tirate in 250 esemplari.

Il nostro Racine, in folio massimo (48 cm), dedicato a Napoleone Console, ha il frontespizio disegnato da Prudhon (detto il “Corrège de France”) e 56 tavole incise dai migliori artisti dell’epoca: Chaudet, Gérard, Girodet, Moitte, Pyron, Serangeli, Tauney ed altri. I caratteri furono appositamente disegnati e fusi da Firmin Didot. Soltanto 100 esemplari, tra cui il nostro, contengono la Lettre au lecteur nella quale Pierre Didot specifica il contributo dato da ciascun artista alla realizzazione dell’opera nonché quello del fratello Firmin.

All’esposizione del 1801 il Racine du Louvre fu proclamato “la plus parfaite production typographique de tous les pays et de tous les âges[1], come ricorda J. Ch. Brunet, il quale aggiunge con fierezza tutta francese: “Sans contradit, cette édition est un des livres les plus magniphiques que la typographie d’aucun pays eut encor produit[2].

Prendiamo ora in esame l’edizione del Bodoni del 1813, anch’essa in tre volumi in folio massimo (46 cm). Questa edizione fa parte della serie di quattro classici francesi commissionata da Gioacchino Murat, re di Napoli, per l’educazione del figlio Achille Napoleone[3], come attesta la dedica preposta al primo volume. La mancanza di documenti, distrutti dai Borbone al loro rientro a Napoli dopo la restaurazione del 1815, non ci consente di ricostruire con fedeltà la storia di queste edizioni, ma non c’è dubbio che esse vedano messe in relazione con la presenza a corte di Francesco Daniele, il dotto “antiquario”, segretario dell’Accademia Ercolanese, bibliotecario privato del Re.

Nato a San Clemente di Caserta, Francesco Daniele (1740 – 1812) rappresenta una delle figure più emblematiche di intellettuale dell’età sua. Fin dagli anni giovanili, scrive il Tirelli, suo ultimo biografo, Daniele rivela “un’inclinazione autentica, quella dell’editore, che lo accompagnerà costantemente, si rinvigorirà saldamente con il gusto del bibliofilo[4].

Con il Bodoni egli ebbe una fitta corrispondenza intensificatasi negli anni ottanta, quando il tipografo parmense stampò l’opera Gli amori pastorali di Dafni e Cloe di Longo Sofista[5], commissionatagli dal marchese di Brême, che aveva ricevuto in dono il manoscritto proprio dal Daniele. Proprio Francesco Daniele ne curò il commento e l’introduzione. Nel 1788, su invito del Nostro, il Bodoni fece un viaggio a Napoli in compagnia dell’abate Fortis celebre naturalista. In quest’occasione conobbe molti intellettuali napoletani, come Domenico Cirillo e Giuseppe Saverio Poli, che gli commissionarono loro opere[6]. Certamente nella veste di bibliotecario palatino il Daniele dové suggerire al Re l’idea della stampa dei classici francesi.

Bodoni accettò subito l’incarico, felice di poter mettere alla prova le sue qualità di tipografo d’arte. Era, questa, anche l’occasione per misurarsi con i suoi rivali francesi, i Didot, i quali non gli avevano risparmiato critiche spesso aspre sui testi che pubblicava anche se non potevano negarne le qualità tipografiche[7]. Era anche la sua risposta alla polemica che si andava facendo in tutta Europa sulle grandi edizioni di lusso, riservate a principi e sovrani, per i loro costi proibitivi. Ma proprio Voltaire – ricorda Bodoni nella lettera agli amanti dell’arte tipografica, premessa all’edizione del Racine – “raisonne avec plus de justesse, en disant que le bons livres français, imprimés avec soin aux dépens du Roi, seroient un des plus glorieux monuments de la Nation[8]. Muovendo da questa convinzione, ecco che vi profuse il più grande impegno: nuovi caratteri, disegnati e fusi appositamente, impaginazione e spaziature attentamente calibrate, massima cura nel frontespizio classicamente epigrafico.

I classici francesi sono l’ultima fatica del Bodoni, che morì proprio mentre era in stampa il terzo volume del nostro Racine. In quest’opera in particolar modo egli riesce ad esprimere in sommo grado la sua concezione dell’arte tipografica, che deve presentarsi al lettore “semplice e severa”, senza forzature grafiche o appesantimenti iconografici, concentrata nella purezza della composizione della pagina, nell’equilibrio misuratissimo degli spazi bianchi e dei caratteri di stampa, nella essenzialità, di forma che lascia pieno campo al testo.


[1] M. Jaccquet, voce “Didot, Pierre” in Dictionnaire de biographie française. Paris: Letouzey et Amé, 1967, col. 295.

[2] J. Ch. Brunet. Manuel du libraire … 5. éd. vol. 4. Paris: F. Didot, 1863, col. 179

[3] Gli altri classici sono: Fénélon, La Fontaine e Boileau Despréaux.

[4] A. Tirelli, Francesco Daniele: un itinerario emblematico, in La cultura classica a Napoli nell’Ottocento, Napoli, 1987, p.3-51, il brano citato è a p. 6.

[5] Per la storia di questa edizione si veda: G. Tescione, Francesco Daniele epigrafista e l’epigrafe probabilmente sua per la Reggia di Caserta, in “Archivio Storico di Terra di Lavoro”, 7 (1980/81), p. 54.

[6] Cirillo il Papirus cyperus; (1792) Poli Testacea utriusque Siciliae … (1791 – 95).

[7] In occasione di una esposizione a Parigi, Firmin Didot, commentando le edizioni di Bodoni affermò decisamente: “comme littérateur; je condanne ses édition; comme typographe, je les admire.” Magazin encyclopédique, 1799, p. 127.

[8] G. B. Bodoni, Lettre aux amateurs de l’art typographique, premessa a Racine, p. I-II.


L’approfondimento in pdf

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