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La scultura in marmo di Carlo Tito

La nascita del Principe ereditario Carlo Tito di Borbone fu particolarmente significativa per la storia politica del Regno delle Due Sicilie, perché consolidava la continuità della dinastia borbonica sul trono di Napoli.
Primogenito maschio di Ferdinando IV e Maria Carolina d’Austria, il piccolo principe era venuto al mondo in una rigida giornata d’inverno il 4 gennaio del 1775 nel Real Palazzo Vecchio di Caserta. Per celebrare le reali nascite era consuetudine realizzare il ritratto ufficiale dell’Infante. La regina Maria Carolina, come voto di grazia per aver generato l’erede maschio, subito dopo la nascita volle consacrare a San Francesco di Paola, cui era particolarmente devota, l’effigie del Principe ereditario, affidando l’esecuzione del ritratto a Giuseppe Sanmartino, il primo scultore del Regno di Napoli, noto autore del Cristo Velato nella Cappella Sansevero.
Il ritratto a grandezza naturale fu poi tradotto in argento, ma l’ex voto è andato perduto. La scultura in marmo alabastrino raffigurante il neonato Carlo Tito è presente nelle collezioni della Reggia di Caserta almeno dal 1879, annotata negli Inventari come Putto dormiente attribuito a Giuseppe Sanmartino. L’assenza degli attributi tipici del putto/eros, così come di quelli del Gesù Bambino dormiente, induce a escludere queste identificazioni.
Si tratta, invece, del dolce ritratto di un neonato paffuto, colto durante un profondo e sereno riposo nel suo accogliente giaciglio, sul modello dell’iconografia di tradizione classica del Sonno dell’Innocenza. L’attribuzione della scultura a Giuseppe Sanmartino è confermata dal confronto con altre opere coeve eseguite dall’artista per numerose chiese napoletane, come gli angeli reggicortina del monumento funebre a Filippo di Borbone in Santa Chiara o quelli del monumento dedicatorio cardinale Agostino Sersale nel Duomo di Napoli.
Soluzioni stilistiche assai simili si ritrovano pure nelle più antiche testine di cherubini che ornano l’altare dedicato a San Camillo de Lellis (1757), ora nella chiesa napoletana del Divino Amore, o sull’altare maggiore della chiesa della Nunziatella (1758). Un antecedente sono anche il bambino – un fanciullo vero – che piange in attesa di essere sfamato dalla Carità nella delicata composizione in stucco della chiesa di Sant’Agostino alla Zecca (1760-1761) e i due angeli capoaltare della basilica di San Ciro a Portici (1758-1767). Carlo Tito, il piccolo principe cui erano state affidate le speranze del Regno, ebbe purtroppo vita assai breve. L’erede del Regno moriva nel 1778, a soli 4 anni quasi compiuti, proprio a Caserta, nel Casino Vecchio di San Leucio.
Per commemorarne la morte e quella della più piccola principessa Marianna (1775-1780), la regina Maria Carolina, “madre inconsolabile”, commissionò a uno tra i più noti e ricercati artisti del Settecento, Girolamo Pompeo Batoni, l’Allegoria della morte dei due figli di Ferdinando IV e Maria Carolina. Nella raffinata allegoria, ricca di citazioni da Raffaello a Correggio, la delicata principessa viene rappresentata mentre, sorretta da un angelo, raggiunge in cielo il fratello Carlo Tito. Sullo sfondo del golfo di Napoli, con il Vesuvio in eruzione, la fanciulla viene invano trattenuta dalla Terra, mentre la personificazione del Regno delle due Sicilie ne piange la perdita.
