Gruppi scultorei della Fontana di Diana e Atteone
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StatoTerminato
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Data di inizio03/2022
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Data di fine06/2022
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TipologiaRestauro Green
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SponsorizzazioneNon disponibile
Il lavoro è stato svolto dall’impresa Fll.i Navarra, grazie al Fondo per l’arte dell’Associazione Soroptimist International Italia.
Il club di Caserta ha vinto con il proprio progetto, redatto insieme al servizio Laboratori di Restauro della Reggia, sulle 22 proposte arrivate dai gruppi di tutta Italia, relative ad altrettanti siti.
L’obiettivo è stato quello di procedere con prodotti ecocompatibili atti a non compromettere la vita di flora e fauna acquatica, eliminando le sostanze sovrapposte che non rendevano leggibile l’opera nella sua bellezza. Si è trattato di un restauro “green”, sia per la scelta dei prodotti utilizzati, sia per la presenza del bacino idrico della fontana attorno, decidendo di non svuotarla così da rispettare l’ecosistema delle specie acquatiche presenti e l’estetica del complesso monumentale. L’allestimento del cantiere ha previsto, quindi, il montaggio di piattaforme galleggianti in modo da permettere agli operatori di lavorare in sicurezza.
L’opera, conosciuta anche come “il Bagno di Diana”, è collocata nella parte Nord del Parco Reale della Reggia di Caserta ed è l’ultima fontana monumentale a conclusione della grande “Via d’acqua”. Il tema rappresentato è tratto dalla mitologia greca e descritto nel terzo libro de “Le Metamorfosi” di Ovidio: il cacciatore Atteone, dopo essersi perso nel bosco, assiste al bagno della dea Diana e delle sue ninfe nella fonte Parteia. La dea, sorpresa dal cacciatore in un momento di grande intimità, adirata per l’accaduto trasforma Atteone in un cervo che viene sbranato dai suoi stessi cani.
Materiali e tecniche esecutive
I gruppi scultorei sono in marmo bianco di Carrara e sono stati realizzati da Paolo Persico, Angelo Brunelli, Tommaso e Pietro Solari e Andrea Violani tra il 1785 e il 1789. Le statue si elevano su degli isolotti costituiti da materiale tufaceo e ricoperti da intonaco, ad oggi quasi del tutto ricostruito. Sono presenti solo pochi lacerti originari e alcuni presentano anche tracce di finitura. I lacerti sono stati documentati e segnalati nella documentazione grafica.
A seguito del restauro sono emersi dei particolari molto interessanti circa la lavorazione originale del marmo. Per la realizzazione delle opere gli scultori si sono avvalsi del pantografo, strumento utilizzato per riportare forme da un precedente modello, della bocciarda, della gradina a tre punte e del trapano a violino, visibili sulla superficie. Oltre ai segni distintivi degli artisti, si è manifestata una tecnica non ben precisata se esecutiva o di restauro in cui, per fissare gli elementi aggettanti molto pesanti al resto del volume, sono stati praticati dei fori sulla superficie del marmo in cui è stato colato del piombo.
Stato di conservazione e interventi precedenti
Le sculture presentavano un copioso strato di depositi incoerenti e coerenti quali nidi di insetti, guano, fogliame, ecc. (particolarmente presenti nei panneggi e nei sottosquadri delle statue. Le superfici presentavano estese manifestazioni biologiche, specificatamente: alghe, talli lichenici, funghi e soprattutto cianobatteri dalla consistenza gelatinosa particolarmente tenaci. Le aree più aggettanti e anche più esposte come i panneggi e i volumi delle sculture presentavano uno strato giallo ben adeso alla superficie consistente in un sottile strato calcareo, che diveniva più spesso nelle zone a diretto contatto con l’acqua. Le manifestazioni degenerative sono riconducibili sia alla persistenza sulle superfici di costante umidità condotta dalla nebulizzazione dell’acqua della cascata, sia al continuo e diretto irraggiamento solare. Dalle indagini diagnostiche risultavano esserci diverse specie di microrganismi, quali: talli lichenici Xanthoria parietina, licheni crostosi, funghi e cianobatteri (tra cui Gloeocapsa e Nostoc). Trattandosi di organismi fotoautotrofi, in particolare Nostoc, Gloeocapsa, ecc., questi riescono a svilupparsi anche in contesti in cui è continuo l’irraggiamento solare. L’umidità ambientale e l’acqua della cascata che, mediante il vento, viene trasportata e nebulizzata sui gruppi scultorei, hanno notevolmente contribuito alla proliferazione di microrganismi. Inoltre lo stato di conservazione degli elementi litoidi rivelava la perdita della naturale levigatezza della materia con superfici estremamente porose, segno dell’erosione dovuta al continuo apporto di acqua e vento. La scabrosità del marmo ha così favorito l’attecchimento di microrganismi che, durante le lavorazioni, sono risultati di difficile rimozione. Molte statue presentavano lesioni, lacune ed elementi mancanti di porzioni anatomiche quali le dita delle ninfe e le code di alcuni cani. Infine, il gruppo di Atteone presentava rimanenze di un vecchio protettivo (cera) ormai alterato e penetrato nel substrato cristallino del marmo.
Gli interventi dei restauri precedenti sono visibili attraverso incollaggi di porzioni scultoree con impiego di perni di acciaio o ferro adesi con materiali sintetici. In particolare alcune dita ancora in sede sembrano però non appartenenti al complesso, in quanto diverse stilisticamente Sul gruppo di Diana, inoltre, sono visibili segni di usura e asportazione di materiale marmoreo sulla gamba destra e sulla schiena di una delle ninfe.
Intervento di restauro
L’intervento di restauro, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2030, ha impiegato per la disinfezione e la pulitura metodi e materiali green, per non danneggiare flora e fauna acquatiche del complesso e poter operare senza lo svuotamento del bacino d’acqua. Il restauro è stato preceduto, nell’agosto del 2021, da una campagna preliminare di ricerca di materiali e tecniche di applicazione, svolte sul retro dell’adiacente fontana di Venere e Adone. Le operazioni svolte sui due gruppi scultorei sono state le seguenti:
1. Spolveratura e rimozione a secco dei depositi coerenti e dei talli lichenici mediante pennelli, bisturi e spazzole con setole morbide.
2. Prelavaggio con idropulitrice termoregolata (40/60 °C) a bassa pressione, al fine di rimuovere tutte le spore dei microrganismi e di preparare le superfici per la successiva fase biocida.
3. Disinfezione eseguita mediante applicazione di gel polimerico a base acquosa con benzalconio cloruro al 10 %, steso sulla superficie mediante pennelli e spatole fino al raggiungimento dello spessore desiderato. Il gel tende a essiccare all’aria e dopo la sua asciugatura è stato rimosso mediante peeling avendo così una duplice funzione, sia chimica grazie alla presenza del biocida, sia meccanica mediante la rimozione “a strappo” delle spore, evitando cosi percolature di materiale.
4. Pulitura con applicazione di detergente a base di enzimi stabilizzati che agiscono su patine biologiche e organiche presenti su materiali lapidei, effettuato a più cicli di pulitura a seconda delle esigenze. La pulitura ha previsto un’ulteriore fase di rifinitura per rimuovere, o quantomeno attenuare, le incrostazioni calcaree senza compromettere il marmo sottostante, mediante micro trapano con frese smerigliatrici e martello da descialbo. Nelle operazioni di pulitura rientrano anche i test per la rimozione del protettivo alterato presente in alcuni punti solo sul gruppo di Atteone, che è stata attenuata mediante pulitura sia a tampone che ad impacco.
5. Consolidamento superficiale su entrambi i gruppi, effettuato a pennello con silicati di litio dove il marmo si presentava decoeso o molto poroso.
6. Incollaggio e riadesione di tutti gli elementi in fase di distacco o in pericolo di caduta (dita delle ninfe, code dei cani, ecc.).
7. Stuccatura con malta composta da calce idraulica e polvere di marmo Bianco di Carrara di piccole lacune, giunti degli elementi riadesi, fratture e lesioni.
8. Riequlibratura cromatica delle stuccature con acquarello.
Il restauro si è ultimato con il trattamento delle basi, modellate in scogli, realizzati in intonaco. Degli elementi originari ci sono pervenuti solo alcuni lacerti. Infine dalla mano destra della mano di Atteone è stato rimosso l’arco in rame. Il restauro dell’elemento è stato eseguito in laboratorio e ha previsto la rimozione degli elementi corrosivi di ossidazione.