Ercole e il suo mito nella scultura e pittura alla Reggia di Caserta

Considerato dai Farnese mitico protettore degli antenati della casa, Ercole fu adottato come divinità protettrice da Carlo di Borbone, Farnese per parte di madre, e simbolo della nuova dinastia. La figura dell’eroe compare più volte lungo l’appartamento storico del Museo Reggia di Caserta ma il più rappresentativo è quello che troviamo di fronte allo Scalone d’onore.

A lungo ritenuto opera settecentesca e attribuito allo scultore Andrea Violani che pure ne aveva scolpito uno nel 1772 secondo il progetto di Luigi Vanvitelli, nel 1982 è stato identificato da Paolo Moreno con l’Ercole Farnese in riposo rinvenuto nell’agosto 1545 nelle Terme di Caracalla insieme all’Ercole di Glicone, oggi conservato al Museo Archeologico di Napoli, e perciò detto Ercole Latino.

Le due statue furono utilizzate nel 1546 per abbellire il palazzo romano di Pier Luigi Farnese e inserite da Michelangelo nel nuovo progetto del cortile del Palazzo Farnese, dopo un restauro affidato rispettivamente a Guglielmo della Porta (Porlezza, 1515 – Roma, 1577) e ad Ulisse Aldrovandi (Bologna, 1522 – 1605) che lo descrisse così nel 1550:

«Hercole grande come colosso; sta ignudo et apoggiato in uno tronco con la spoglia del leone e del toro Marathonio, che egli ancho in su quel di Athena vinse; nel tronco sono affissi carcassi con le saette. A l’Hercole è stata fatta una testa moderna et una gamba».

L’eroe è raffigurato mentre si appoggia alla clava, sulla quale è drappeggiata la pelle del Leone di Nemea, un mostro invulnerabile inviato da Era per distruggere il dio, che nasconde dietro la schiena i pomi delle Esperidi. L’allusione è all’undicesima fatica di Ercole, che propose ad Atlante di reggere il cielo al suo posto purché gli portasse le mele di quel giardino. Alla base della clava è scolpita la testa del toro di Maratona, la cui cattura rappresenta la settima delle dodici fatiche di Ercole. Da questo toro e da Pasifae, regina di Creta, nacque il famigerato Minotauro.

Il nucleo originale del gruppo scultoreo è ritenuto di età tardo adrianea ed è costituito da un blocco di marmo bianco a grana fina con ampie chiazzature grigio-azzurre e rosate. Ad esso si aggiungono alcune stratificazioni di restauro in marmo bianco statuario di Carrara di epoca settecentesca. Infatti, nel corso del trasferimento della Collezione Farnese da Roma a Napoli tra il 1787 e il 1789, i due Ercole vengono destinati quello di Glicone al
nascente Museo del Palazzo degli Studi e quello latino alla Reggia di Caserta, dove viene depositato nello studio casertano di Angelo Brunelli per il restauro, reso necessario per i danni da trasporto.
In questa data il vestibolo della Reggia è occupato dall’Ercole di Andrea Violani, scolpito nel tra il 1770 e il 1773 in sostituzione della Gloria che incorona la virtù di Ercole, gruppo previsto nel primo progetto vanvitelliano, di cui resta ancora il maestoso basamento con l’iscrizione latina «Gloria virtutem post fortia facta coronat». Ce lo racconta Valentina Maderna in Civiltà del ‘700 a Napoli, il catalogo della mostra tenutasi a Napoli dal dicembre 1979 ad ottobre 1980. Secondo Maderna, l’Ercole di Andrea Violani, esemplato su un modello di gesso fatto venire apposta da Roma, avrebbe sostituito nel Vestibolo inferiore il gruppo della Gloria che incorona Ercole.
In questo periodo Angelo Brunelli è impegnato a Napoli per gli interventi sugli altri manufatti in
marmo della Collezione farnese che giungono da Roma poiché Carlo Vanvitelli lo ha incaricato dello
studio e del restauro dei marmi antichi. Così l’opera giace a lungo nel suo laboratorio, giacenza che si
protrae evidentemente per lo scoppio della rivoluzione napoletana durante la quale è plausibile che vada
distrutto l’Èrcole del Violani. Solo nel 1807 l’Ercole latino viene restaurato dal Brunelli e collocato sul basamento del Palazzo Reale di Caserta.

      

Salendo il maestoso scalone reale ritroviamo nuovamente la figura dell’Ercole nell’affresco di Domenico Mondo (Capodrise 1723 – Napoli 1806) nel Salone degli Alabardieri, il primo dell’appartamento storico progettato da Luigi Vanvitelli e realizzato dal figlio Carlo. Il soggetto è Le armi borboniche sostenute dalla virtù (1785 – 87) il cui bozzetto preparatorio è conservato al Museo del Louvre. Alla base del dipinto si vede Ercole con la clava sollevata e la pelle di leone che colpisce i nemici, reso riconoscibile anche dall’Idra di Lerna, un serpente marino velenosissimo ucciso dal dio nella seconda delle sue dodici fatiche.

 

La figura di Ercole ritorna nell’affresco del Salone di Alessandro, il terzo dell’appartamento storico, dipinto nel 1787 da Mariano Rossi (Sciacca, 1731 – Roma, 1807) sotto la direzione di Carlo Vanvitelli. Allievo del Solimena, il Rossi entrò a far parte dell’Accademia di San Luca e lavorò intensamente per l’intera penisola, grazie al sostegno del cardinale Alessandro Albani. Grazie a lui lavorò a Torino presso la corte di Carlo Emanuele III, duca di Savoia e di Sardegna (1770) e poi – tra il 1774 e il 1779 – per il principe Marcantonio IV Borghese per il quale dipinse la volta del salone d’ingresso della palazzina della Galleria Borghese con l’Apoteosi di Romolo accolto da Giove nell’Olimpo, che anticipa il lavoro casertano.

L’affresco rappresenta le nozze di Alessandro Magno con Roxane, che alludono al matrimonio tra il sovrano Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina d’Austria e sono stilisticamente molto vicine all’affresco della Galleria Borghese: tra le varie divinità a riposo, anche Ercole partecipa idealmente al banchetto nunziale dei sovrani che si fanno garanti della cultura e della pace.

Proseguendo la visita del percorso museale, ritroviamo la figura di Ercole anche negli spazi commissionati durante il decennio francese. Nel 1808 i francesi entrano a Napoli mentre Ferdinando IV di Borbone si trova in esilio a Palermo. Nel 1809 Gioacchino Murat affida all’architetto Antonio De Simone i lavori di sistemazione del nuovo appartamento alla Reggia di Caserta, nell’ala sud ovest dell’edificio (marzo 1809 – dicembre 1811). Il progetto viene redatto nel 1812 e già nel 1813 viene realizzato il modello ligneo delle sale.

Per la decorazione della volta della Sala di Astrea nel 1812 Giacomo Berger (Chambéry, Francia, 1754 – Napoli, 1822) riceveva l’incarico di dipingere a fresco un Trionfo della Giustizia al centro del quale era prevista la Giustizia, che ha le fattezze di Carolina Bonaparte Regina delle Due Sicilie, colla bilancia nella destra, e il fascio d’arme nella sinistra. Il suo sedile è ornato con leoni che alludono alla Clemenza,
alla Prudenza e alla Forza d’animo.

La Giustizia è contornata dalla Temperanza, dalla Prudenza, dalla Concordia e dalla Clemenza. Ai piedi della Giustizia, la Corruttela dei Giudici in atto di alzarsi spaventata riconoscibile per la catena d’oro, il memoriale e la volpe. Sulla sinistra si vede la Calunnia, vestita di rosso e arancio, dipinta su esempio di Apelle come una donna dalla faccia torbida e una torcia in mano, che tiene per i capelli un giovane che chiede aiuto invano. Alle sue spalle, vestita di bianco con turbante e sciabola, l’Ingiustizia, che colpesta delle bilance e guarda in una tazza d’oro piena di sangue.

Sul lato destro viene scoperto l’Inganno e fugge la Discordia in forma di furia infernale, la Persecuzione con le ali alle spalle e l’arco sempre teso, l’Insidia donna armata con lo scudo sull’estrema destra e una rete le Arpie. Ai piedi della Giustizia siede l’Innocenza, con la colomba in grembo, incoronata dalla Verità, bianca e seminuda; sul lato opposto il Povero, la Vedova, gli Orfani cercano ricovero e lo ritrovano. In alto a sinistra Giove e Astrea si godono lo spettacolo.

Sulla destra è visibile la figura di Ercole colla clava in mano che mette in fuga i vizi. La scena è ambientata a Napoli come si intende dal Vesuvio riconoscibile sullo sfondo. Nel 1814 Gioacchino Murat cambiò idea decidendo di affidare la commissione al celebre Vincenzo Camuccini. Alla fine, per ragioni economiche, la commissione rimase al Berger che sostituì l’affresco con un dipinto che collocò nella volta nel marzo 1815.

Per quando riguarda l’altorilievo sul camino, lo scultore Konrad Heinrich Schweickle (1779-1833), titolare della cattedra di scultura nel Reale Istituto di Belle Arti di Napoli, ebbe da Gioacchino Murat l’incarico di realizzare un gruppo scultoreo per una delle pareti brevi della sala. Il soggetto stabilito da contratto firmato il 16 ottobre 1813 riguardava Astrea con Ercole e il Regno di Napoli, sovrastati da due Geni. Il contratto non fu rispettato e, dopo sette mesi, nel maggio 1814 lo scultore aveva eseguito solo i due geni volanti. In seguito l’incarico fu affidato a Valerio Villareale e completato nel maggio 1822, dopo la Restaurazione borbonica da Domenico Masucci, neoeletto professore onorario del Reale Istituto di Belle Arti di Napoli.

Nel rilievo la figura mitologica di Ercole è abbigliata con la tradizionale pelle di leone e stringe tra le mani una clava e il giglio borbonico. Al centro la dea della Giustizia Astrea con le fattezze di Carolina Bonaparte, mentre a destra si vede la Personificazione del Regno Due Sicilie che in testa porta il Corsiero del Sole, ovvero il cavallo sfrenato simbolo di Napoli, e nella mano sinistra lo scudo della Trinacria, simbolo della Sicilia.

Approfondimento a cura di Maria Carmela Masi, assistente tecnico alle collezioni dell’Ufficio Patrimonio Storico

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